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Saremmo Tutti Più che Felici di Sapere che la Medicina amara per il Covid19 é la Cannabis?

Aggiornamento: 12 dic 2021

Beh, non possiamo spingerci a tanto e questo articolo non intende trasmettere questo tipo di informazione, quanto in realtà avvicinare il lettore ai passi avanti che diversi studi scientifici stanno meticolosamente compiendo nell’avvicinare gli effetti dell’attivazione dei recettori cannabinoidi a possibili cure dei sintomi infiammatori acuti provocati proprio dal Covid.

Giusto per inquadrare semplicemente e velocemente le mura scientifiche entro cui ci stiamo muovendo, proviamo a dare due indicazioni del terreno su cui lo stiamo facendo.

Sappiamo già (vero?!) come agisce la cannabis sul nostro corpo, quando inalata o assunta attraverso cibi, olii e quant’altro?

No? Male, vuol dire che avete ancora un po‘ da approfondire e sperimentare con i nostri prodotti. Ma lo faremo insieme, per ora ve lo ricordo brevemente io: le strutture molecolari del CBD e del THC contenute nella cannabis, sono quasi totalmente complementari a quella di particolari recettori posti nel cervello, chiamati appunto CB1 e CB2, responsabili di diverse funzioni che però tratteremo nello specifici in quel famoso secondo momento.

Andando svelti, quando il nostro CBD, o negli studi che vedremo addirittura il THC, viene assunto, va quindi ad attivare e stimolare maggiormente l’espressione dei recettori neuronali CB1 e CB2.



Ora, state con me, ancora un pezzetto.


Alcuni dei peggiori sintomi causati dal Covid, e che ne alzano il tasso di mortalità, son dovuti ad un aumento esponenziale nel nostro corpo della circolazione delle citochine, proteine prodotte per resistere agli attacchi virali: sono infatti le responsabili dello stato di infiammazione, utile a innescare poi la risposta immunitaria.

Tuttavia, soprattutto nei pazienti con un livello grave di COVID-19, questa reazione immunitaria può diventare eccessiva creando quella che è stata denominata dagli scienziati addirittura come “tempesta di citochine”!

Come abbiamo visto (in questo caso meglio parlare di interleuchine e chemochine) è una fortuna che il nostro corpo le produca, perché svolgono un ruolo fondamentale nella regolazione e nell'attivazione dei meccanismi difensivi e infiammatori, sono il segnale che il nostro corpo sta mettendo in campo le sue energie per combattere, e che ha le armi per farlo; ma dall’altra, quando queste proteine diventano troppe, provocano uno stato di infiammazione polmonare acuta, le cui conseguenze son purtroppo note a tutti e sono proprio quelle che richiedono l’intubazione e il ricovero in terapia intensiva. Una volta superato un certo limite infatti, la reazione immunitaria diventa dannosa, in particolare per le cellule e i tessuti del corpo, e nei casi più gravi può provocare la morte.


Ma arriviamo finalmente a noi!


Gli studi di cui vogliamo informarvi, trattano proprio questa “tempesta”.

Uno di questi è stato pubblicato sulla rivista open-access PLoS ONE, da alcuni ricercatori della Scuola di Medicina Veterinaria dell’Università di San Paolo: il loro “esperimento” ha prodotto un effetto anti-infiammatorio concreto, che è stato considerato conseguenza dell’attivazione dei recettori CB1 e CB2 (i nostri cannabinoidi), in grado di proteggere topi (si, per ora siamo fermi ai topi) dal danno polmonare acuto. Il tutto semplicemente aumentando nel sangue il livello dell’endocannabinoide 2-AG.

Altri ricercatori, questa volta dell’Università del Sud Carolina in Columbia e del Baylor College of Medicine di Huston hanno invece pubblicato sull’International Journal of Molecular Sciences il risultato di un altro esperimento.


Il Δ9-Tetraidrocannabinolo (THC per intenderci), secondo i loro studi, preverrebbe la mortalità da sindrome da distress respiratorio acuto ( causato da..? le citochine, sempre loro!) attraverso invece l’induzione dell’apoptosi, cioè l’autodistruzione, delle stesse (loro) dando così uno stop al loro proliferarsi tempestoso, nocivo e terribilmente infiammatorio.


Quel che fin qui abbiamo quindi capito e che possiam dire di tenere per sicuro, è che l’attivazione dei recettori dei cannabinoidi “può” servire come modalità terapeutica per trattare l’infiammazione polmonare associata al COVID-19!


Senz’altro un buon risultato.


Insomma, tanti studi clinici e tanti passi di piombo devono ancora esser fatti dai nostri studiosi e ricercatori, ma le premesse sono buone e, quanto meno...

invitanti!

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